Foto di Tommaso Basti
Neole o nevole che siano, derivano il nome da nebula che nel latino tardo medioevale sta ad indicare una cialda sottile e trasparente, come appunto una leggera nebbiolina. Ma, mentre altrove possono anche chiamarsi ferratelle, cancellate, pizzelle, ad Ortona, mantengono il nome antico e, per più di un aspetto, differiscono alquanto dai dolci similari.
Innanzi tutto, e non è un elemento di poco conto, per la dolcificazione dell’impasto con il mosto cotto, ovvero la densissima sapa, anch’essa di antica memoria, poi per il ferro a tenaglia con il quale si confezionano, infine per la presentazione a cono, ottenuta arrotolando su se stessa la cialda ancora calda e preventivamente aperta, in senso orizzontale, in modo da assottigliarne maggiormente lo spessore.
Un lavoro non facile che richiede abili mani e provata esperienza. Il dolce ortonese inoltre, a differenza dei consimili che in molti casi la prevedono, non richiede farcitura alcuna.Che la nevola sia un dolce di remote origini, diffuso, per restare in ambito nazionale, in molte regioni, lo attestano alcuni ricettari rinascimentali, oltre ad altri tipi di documenti (per esempio gli inventari delle masserizie da cucina o gli atti dotali) che fanno riferimento ai classici ferri utilizzati per la loro cottura. E se questo agli storici può bastare, agli antropologi giova anche la considerazione degli ingredienti e della tecnica di realizzazione, ambedue piuttosto essenziali e di carattere per così dire arcaico.
Riguardo ai primi, per restare ai documenti, la scelta si limita alla farina di grano, all’olio d’oliva, o, a seconda delle regioni, allo strutto o al burro, al miele o in alternativa alla sapa (che è, giova ricordarlo, un mosto cotto ristretto ad un terzo e spesso invecchiato per anni), ai semi di anice e alle stecche di cannella ridotte in polvere. Qualche volta, come ad Ortona, si prevede l’aromatizzazione anche con la scorza grattugiata dell’arancia amara che, nella costa frentana, prende il nome di cetrangolo. Relativamente alla cottura, è proprio il ferro a tenaglia, a collocarne la nascita ad un ab illo tempore tanto remoto, quanto imprecisabile.
Dunque le nevole sono una specialità antica e quelle di Ortona forse più di altre variazioni hanno mantenuto il loro carattere primitivo, se in esse, secondo alcune attenibili testimonianze, l’aggiunta dello zucchero è cosa piuttosto recente e motivata dall’attuale carenza di mosto cotto ottenuto dal pergolone. Ma il dato che qui importa è che le nevole ortonesi restano, nel panorama regionale, un prodotto del tutto singolare; cosicché si capisce perché ad esse Franco Cercone, eccellente studioso da tempo interessato alla antropologia dell’alimentazione, abbia dedicato un argomentato saggio che sfata molti luoghi comuni e risponde ad alcuni interrogativi.
Circa la vexata quaestio se le nevole ricordate a Lanciano in un documento del sinodo diocesano del 1595, siano da considerare le antesignane di quelle ortonesi, Cercone scrive che “è possibile infatti che alla data del sinodo le nevole non fossero in uso ad Ortona e che il caratteristico dolce (tipico), i cui ingredienti non ci sono comunque noti, si diffonderà ad Ortona, con o senza varianti, dal vicino capoluogo frentano, forse tramite donne andatevi spose nel periodo successivo al 1595, quando l’Arcivescovo, decretando il divieto della confezione delle nevole, rende ben presto desueto a Lanciano questo tipico dolce”. Pur convenendo con lo studioso che quello del sinodo lancianese è il documento più antico circa l’uso di questa prelibatezza nell’area frentana, tuttavia esso non esclude la possibile ipotesi che all’epoca le nevole apparissero anche sulle tavole ortonesi, come del resto, secondo quanto puntualizza benissimo lo stesso Cercone, accadeva anche altrove.In conclusione la nevola con il mosto cotto, ovvero quella ortonese, auspica lo studioso, va salvaguardata con la Denominazione d’origine protetta “al fine di garantire il futuro a questo squisito, quanto singolare dolce tipico.