Pietro Guida e Giovanni Hajnal all’Abbazia di Sulmona

da | Ago 4, 2021 | In evidenza | 0 commenti

L’Abbazia di Sulmona ospita all’interno dei suoi suggestivi spazi espositivi, nel Refettorio e al primo piano, le due mostre: Pietro Guida – Il Mito: lo specchio del mondo e Giovanni Hajnal – Sulle orme di Dante dalla lettura al segno grafico fino al 17 ottobre.

Due esposizioni dedicate a grandi artisti, personalità poliedriche che hanno saputo incidere il loro nome tra i grandi della storia dell’arte contemporanea. Due rassegne che presentano preziose opere volte a indagare e rileggere in chiave contemporanea il concetto di Mito o a reinterpretare in maniera del tutto singolare i passi più coinvolgenti della Divina Commedia di Dante Alighieri, in occasione delle celebrazioni del settecentesimo anniversario dalla scomparsa del Sommo Poeta.

Nell’opera di Pietro Guida, che compie tra poco cento anni, la ripresa della tematica del Mito è funzionale alla decantazione del reale, cristallizzato e immerso nelle figure che sono quasi visioni oniriche, sospese in una dimensione astorica e atemporale. La sua arte è sempre essenziale, immediata, riconoscibile, scevra da orpelli e abbellimenti, è la testimonianza di ciò che è, non di ciò che dovrebbe o vorrebbe essere. Le 14 sculture presenti in mostra incarnano testi fantastici, leggendari, sono narrazioni viventi che echeggiano l’eternità cristallizzandola in un attimo, trascinando lo spettatore in un passato mitico, aureo e primigenio, che si rende presente attraverso la naturalezza dei gesti, l’immediatezza delle forme, la franchezza di linee. Le sue solide visioni sono fantasmagorie a cui il pubblico è invitato ad assistere e a partecipare, congiungendosi all’espressione di un’arte che sintetizza sentimenti, passioni, emozioni quotidiane assurgendo alla potenza dell’ineffabile. Prometeo, il Minotauro, Orfeo, Leda, Apollo e Dafne, Endimione e Selene, Icaro, sembianze mitiche e mitologiche, protagoniste di affascinanti leggende, vivono ognuna immersa nel proprio magico mondo, sprofondate all’interno di un intimista e claustrale hortus conclusus degli incanti che fa della fascinazione e della decantazione spasmodica della vita e della realtà il proprio palcoscenico. La vita, del resto, è anche il punto cardinale da cui muovono sostanziandosi i disegni di Pietro Guida. Essi tendono a veicolare la storia personale, il vissuto che ogni scorcio, forma, linea, sussulto trascina con sé. Le visioni ieratiche e adamantine di questo artista non rappresentano, bensì interpretano, traducono, poetano, decantano. Ciascuna figura-apparizione, infatti, affronta il qui e ora, rifiutando di recitare un ruolo, raccontando piuttosto di sé, del suo essere-esistere e occupare uno spazio vivente, confidandosi con noi, narrandoci, tramandandoci, connotandosi di volta in volta di libertà e purezza. I disegni di Guida sono tracce del futuro, progettano cosa sarà, finiture imperfette di un domani reso presente, lacerti di una realtà che si perpetua attraverso il mito, la leggenda, in un’eroica fuga dal banale che tenta di coniugare misticamente l’uomo e il mondo. Il disegno rivela, testimonia, attesta. Nell’opera grafica di Pietro Guida l’arte del segno è il contraltare speculare di ciò che scolpisce, solleticare il foglio con la matita equivale a incidere il cemento, a formare, nell’ accezione più pura del termine, la materia, la sostanza dell’opera che assume lo status inequivocabile di capolavoro, unico nel suo genere, votato alla natura e alla fantasia, ammantato di storia e di mito, di una mistica sacralità.

Il legame tra Giovanni Hajnal e il Sommo Poeta Dante Alighieri si è instaurato, intrecciato e mai più interrotto, grazie a un autentico colpo di fulmine. In tale frangente Hajnal subisce una potentissima esperienza di arricchimento esistenziale, oltre a una conturbante impressione immaginativa, di empatia con l’opera dell’inarrivabile maestro. Da quel preciso istante principia nell’immaginario compositivo e iconografico di Hajnal una fascinazione così stravolgente per le tre Cantiche dantesche tale da tradurne e trascriverne i passi più notevoli, preziosi e significativi eternandoli attraverso la propria magistrale arte incisoria. Dal 1980 Giovanni Hajnal matura l’idea di illustrare in maniera programmatica episodi che lo avevano letteralmente stregato vivificando così l’epopea di incisioni a tema dantesco, sentendosi particolarmente vicino ai versi dedicati alla sua terra natia, l’Ungheria, enucleandone, mediante un segno rigido, autoritario e solenne, non solo l’imperituro legame sentimentale con il proprio paese d’origine ma anche il profondo rapporto tra il Vate e quella straordinaria nazione. Le 14 opere presenti in mostra, realizzate con la tecnica dell’acquaforte, sono permeate da una strabiliante duttilità espressiva. Esse scandiscono, mediante un iter stilistico multiforme e variegato che abbraccia oltre vent’anni, il viaggio dantesco nei tre regni oltremondani della religione cattolica, effigiandone con estrema perizia compositiva principalmente i moti interiori, resi grazie al calibrato impiego di un segno che si fa aedo di accattivanti slanci emotivi e contrappunti sensori, che si compenetrano in linee marcate, forme geometrizzanti, volumi imponenti e brulicanti assetti spaziali tesi a trascinare il pubblico all’interno di una fiaba magica e al contempo grottesca. L’ars creandi di Hajnal mutua dal passato per mirare al futuro, un avvenire ripensato e riplasmato originalmente attraverso un innovativo linguaggio figurativo che mostra di saper armoniosamente coniugare la minuzia della cultura espressiva nordica con la linea calda e magmatica di matrice mediterranea. Le incisioni esposte esprimono l’universo dei sentimenti umani, cantano i conflitti interni, i brividi della paura di rimanere intrappolati e ancorati a qualcosa che non ci appartiene, le speranze di un’umanità in cerca di assoluzione. Hajnal traduce, superando i dettami del messaggio sacrale o simbolico insito nelle sue creazioni, i problemi dell’uomo moderno: l’antinaturalismo formale, le distorsioni grafiche, il dinamismo compositivo non fanno altro che trasporre l’inquietudine, il disagio esistenziale che affligge il nostro tempo e rappresentano una via di fuga dal labirintico incedere di un presente che forse percepiamo di volta in volta sempre più ingombrante.

 

IN EDICOLA

la rivista