Un luogo ad alta concentrazione di preghiere e di speranze è per eccellenza l’eremo di Raiano, scavato in un paesaggio selvaggio disegnato dalla potenza del fiume Aterno. Qui riparò San Venanzio insieme al maestro Porfirio mentre infuriava la persecuzione di Diocleziano. Prima di essere martirizzato a Camerino compì miracoli d’acqua, come le antiche ninfe e dal suo capo decollato sembra sia sgorgata una fonte. E qui, nella chiesetta, affacciata alle acque che scavano la roccia, si può ammirare un gioiello d’arte, raro in Abruzzo, il Compianto sul Cristo morto, gruppo di sculture in terracotta policromata che, in territorio peligno, trova riscontro solo in un altro complesso più antico, a Pratola Peligna.
La presenza di Compianti nelle vicinanze di Sulmona è particolare nell’ambito della pur fiorente produzione di statue in legno e in terracotta che distingue la nostra terra. Questo fenomeno, che trova senz’altro radici nelle rappresentazioni teatrali, è stato esplorato soprattuto in Emilia e di recente in Lombardia e Piemonte. Nelle zone dell’Italia centrale e meridionale il tema conosce declinazioni differenti, come hanno notato gli studiosi che hanno lavorato al riguardo, a partire da Antonio de Nino. Anzitutto il maestro attivo a Raiano, che con ogni verosimiglianza tiene a modello quello operoso a Pratola, mostra di ben conoscere il modello compositivo tipico nelle aree padane. Tale tradizione contempla che il gruppo sia costituito da otto figure. Attorno al Cristo morto si riuniscono la Vergine e due Marie, la Maddalena, San Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo.
Ma il nucleo fondamentale a Raiano è ben altrimenti condiviso e partecipato. Ben diciassette sono gli attori convocati, di grandezza due terzi del vero. Quanto alle figure femminili, sono sei nel gruppo della Vergine che si aggiungono alla Maddalena. Sorprende notare come Madonna e Pie Donne non siano semplicemente modellate in uno stesso blocco, bensì rappresentino veri cloni, gemmazioni di un medesimo sembiante.
L’articolo intero è stato pubblicato sulla rivista D’Abruzzo n. 137 | primavera 2022
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