Foto di Francesca Rapini
Gli scavi archeologici condotti nel 2009, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo, nella splendida cornice naturalistica delle Gole e della Valle di Santo Spirito di Fara San Martino, hanno consentito di riportare in luce l’antica Abbazia benedettina di San Martino in Valle, senza dubbio tra i luoghi più suggestivi della spiritualità medioevale abruzzese.
Il monastero, situato ai piedi del massiccio della Maiella, nel corso dei secoli era stato completamente sommerso dalle alluvioni e prima del recente intervento di recupero ne erano rimasti visibili solo i resti del campanile.
Le vicende storiche
San Martino vanta origini antichissime. La chiesa è menzionata per la prima volta nelle fonti scritte del IX secolo. Nei primi anni di vita il piccolo rifugio della comunità benedettina, protetto dal riparo naturale della parete rocciosa, ebbe una connotazione architettonica molto semplice, simile ai tanti piccoli eremi rupestri che costellarono la Maiella. Poco o nulla si sa della storia dell’abbazia nel periodo di maggiore splendore e floridezza, tra l’XI e gli inizi del XV secolo, quando divenne oggetto di consistenti rifacimenti edilizi caratterizzati da pregevoli sculture e decorazioni architettoniche.Nel 1451 il monastero fu soppresso e gli ingenti beni in suo possesso devoluti al Capitolo Vaticano. Dopo l’abbandono definitivo da parte dei monaci, tra il XVIII e il XIX secolo gli edifici del monastero caddero in disuso e in parte subirono un forte interramento a causa delle alluvioni, fino al completo seppellimento del 1819 che riguardò anche la chiesa.In seguito l’attenzione si focalizzò solo sui resti della basilica che nel 1891 e nel 1929 fu riportata alla luce da scavi religiosi, animati dal fervore popolare nella convinzione di ritrovare le spoglie del monaco Giovanni Stabile, un sant’uomo eremita i cui resti, secondo una passio leggendaria medioevale, riposavano nella chiesa.
Itinerario di visita all’abbazia
All’ingresso delle gole sono visibili i resti del cancello dell’abbazia con il quale i monaci avevano facoltà di chiudere l’accesso alla valle. Superate le gole, giunti nella valle, si scorgono le mura del monastero. Uno splendido portale in pietra consente l’accesso al cortile, del tipo senza chiostri, che precede la chiesa.
Oltrepassato l’ingresso, lungo la parete rocciosa si ergono vari ambienti semirupestri, forse adibiti a foresteria per l’accoglienza dei pellegrini. Sull’arco della porta di uno di essi è incisa in eleganti caratteri gotici la data A.D. MCCCLXXXXV (Anno Domini 1395).
Nella stessa area s’innalza una piccola e suggestiva cappella, interamente scavata nella roccia, abbellita da un portale dalle forme tardogotiche.
Giunti davanti alla chiesa vi sono i resti del portico monumentale formato in origine da arcate sorrette da colonne e da capitelli. L’ingresso nella chiesa avviene attraverso un portale in pietra che rappresenta, nella semplicità del perfetto incastro dei conci, un vero e proprio capolavoro frutto dell’abilità dei lapicidi medioevali.
L’edificio a tre navate è pavimentato a lastre di pietra. Dalla navata centrale si accede al presbiterio, la zona riservata al clero per le funzioni liturgiche. Al centro dell’abside maggiore si erge un altare in muratura. Dalla navata laterale destra, coronata da una piccola abside, si entra nell’ambiente più antico ed emozionante della chiesa, interamente scavato nella roccia, dove si possono ammirare tre edicole d’altare coperte da piccole volte ad arco ogivale. La prima edicola mostra due pregevoli colonnine che sorreggevano un architrave, ritrovato in frammenti, con scolpita la data di consacrazione dell’altare: DIE.X.APERII. (M.C)CCC.XI. (anno 1411).
Le colonnine sono finemente decorate da tralci vegetali di racemi di vite e di quercia che nel simbolismo cristiano rappresentano rispettivamente la comunità dei credenti in Cristo e il clero secolare.